“Kaydara, ovvero un Viaggio iniziatico africano”
I Parte

Leuviah


Storia, storia raccontata, storia da raccontare…
Sei veritiera?
Per i bambini che si trastullano al chiaro di luna, il mio racconto fantastico.
Per le donne che filano il cotone nelle lunghe notti d’inverno, è un piacevole passatempo
Per i menti barbuti e i talloni rugosi, è una vera rivelazione.
Io sono dunque futile, utile e istruttivo.
Spiegala allora per noi…

L’Africa è la culla dell’umanità: la terra su cui il primo uomo ha mosso i propri passi. Questo incipit mi permette di spiegare come l’ago della bussola che guida i miei interessi nel campo degli studi esoterici, ultimamente stia indicando le terre africane. In particolare mi riferisco a le terre sub-sahariane, tanto ricche di tradizioni che arrivano sino a noi, nonostante i danni causati dalle “civilizzazioni” dapprima religiose (ad opera dell’Islam prima e del Cristianesimo dopo) poi divenute militari (con la colonizzazione ad opera dei Paesi europei). Come spesso è accaduto nel corso della storia per altre civiltà, proprio il pensiero tradizionale che nel caso dell’Africa si è trasmesso perlopiù oralmente, ha potuto resistere e rafforzarsi all’avanzata della Triade: Mezzaluna, Croce e Fucili. Spesso in queste terre si incontrano miti e leggende e credenze religiose imbevute di sincretismo, ma se si approfondisce maggiormente attraverso studi tradizionali si possono trovare elementi incontaminati di un bellezza infinita che riescono a comunicare anche a noi che viviamo sulla sponda nord del Mar Mediterraneo importanti messaggi per percorrere il cammino sulla nostra Via.
L’argomento che oggi vi voglio sottoporre rientra proprio in questo ultimo caso: grazie ad Amadou Hampâté Bâ scrittore, etnologo, storico e poeta ivoriano vissuto tra il 1900 e 1991 sono venuto a conoscenza di un mito fulbe carico di insegnamenti tradizionali. Prima di entrare nel vivo dell’argomento, ricordo che A. H. Bâ fu iniziato alla cultura del suo popolo e alla religione islamica, lavorò nell’amministrazione francese del suo Paese per poi allontanarsene, proseguendo la strada della carriera diplomatica che lo portò a sedere nel Consiglio esecutivo dell’Unesco. Dal 1970 abbandonò le cariche diplomatiche per dedicarsi alla creazione di un archivio contenente le trascrizioni elle narrazioni orali dei griot e dei racconti tradizionali. La versione di Kaydara che ho preso in considerazione è appunto quella trascritta da Bâ nel suo archivio.
Prima di passare all’analisi simbolico-tradizionale del racconto è opportuno tentare di spiegare il contesto in cui Kaydara nasce e si sviluppa. Kaydara è innanzitutto un racconto didattico tradizionale che il maestro narratore racconta durante le veglie a grandi e piccoli. A volte il racconto viene interrotto per riprenderlo di tre mesi in tre mesi, ma nelle lunghe notti della stagione fredda viene narrato tutto d’un fiato.
Esistono due versioni della narrazione: una profana e una iniziatica, esoterica. Il maestro in apertura del racconto dice: “Sono futile, utile e istruttivo” per indicare la valenza del suo apporto ma altresì della necessità da parte di chi ascolta di far proprio il mito. Ricordo che noi spesso diciamo: “il Maestro è sempre Apprendista”, attribuendo a tale espressione la stessa valenza della precedente, sempre stando all’erta che non diventi una scusa per regredire nel nostro percorso.
Si deve altresì segnalare che il Maestro può trasmettere il suo sapere a sua figlia, la quale potrà iniziare a sua volta pur dovendo indossare abiti maschili: ciò indica la centralità della donna nella società Fulbe come iniziatrice, non soltanto dei segreti della cucina (anch’essa considerata attività mistica).
L’iniziazione è di gruppo ma solo chi riuscirà a comprenderne la simbologia delle immagini e dei numeri (fattore molto importante della tradizione come potremo anche apprezzare nel corso della narrazione di Kaydara) potrà essere un vero iniziato.
In cima al pantheon fulbe si trova Gueno, l’eterno, l’onnipotente, il distruttore e il conservatore, da lui discendono il male e il bene poiché essendo al di sopra delle autorità degli uomini non deve rendere conto di nulla. Tutte le emanazione di Gueno, o se preferiamo gli “attributi” dell’Eterno, sono spiriti o geni che scendono sulla terra per interagire con gli uomini (Elohim?): Kaydara, l’iniziatore è uno di questi. Altri spiriti chiamati soudibés popolano il Paese della penombra o Paese dei Nani, un mondo “occulto”, intermediario tra il Paese della luce dove vivono gli essere visibili e il Paese della Notte profonda, una specie di aldilà, soggiorno delle anime dei morti e degli essere in attesa di nascere. In particolare Kaydara è “un raggio emanata dalla fonte di Gueno”, che può rendersi visibile e che possiede il dono della poliformia (che usa per trasformarsi spesso in vecchi medicanti vestiti di stracci). Il significato etimologico del suo nome è “termine” o “fine”.
Il racconto narra le vicende di un viaggio, dall’apparenza normale ma che diverrà iniziatico, durante il quale Hammadi, Hamtoudo e Dembourou si recheranno nelle viscere della terra e dopo aver esplorato il sottosuolo attraverso 11 strati (corrispondenti a 11 simboli e 11 rispettive prove) si troveranno al cospetto di Kaydara, il Dio dell’Oro (V.I.T.R.I.O.L.). Non voglio anticipare troppo ma passare ora all’analisi del racconto iniziatico e soffermarmi su alcuni aspetti che possono avere dei punti di contatto con la nostra Tradizione.

La Tradizione fa risalire il viaggio verso Kaydara all’epoca della Creazione del mondo: “l’epoca in cui le montagne si sono indurite, la stessa in i Geni (Elohim?) finivano di tracciare i fiumi”. In quei giorni Hammadi uscì di casa all’alba e si incamminò verso un crocevia e lì si fermò… In questo crocicchio Hammadi incontra quelli che saranno i suoi due compagni di viaggio: Hamtoudo e Dembourou. Prima di passare continuare nella narrazione della vicenda dobbiamo soffermarci su alcuni elementi: il crocevia nella tradizione dei pastori fulbe indica un luogo, una radura in cui si incrociano tre strade. In questi luoghi viene praticato un rito sacro in cui l’iniziato entra contatto con gli spiriti attraverso un sogno – analogamente a quanto accade diverse volte nella nostra Commedia – o attraverso l’uso di piante specifiche. In questo luogo verranno compiuti riti e sacrifici per tre giorni. Inoltre Hammadi trova i suoi due compagni stregati dall’alba e li sveglia: ecco l’anima senziente, educata dell’iniziato che interviene sull’anima vegetativa “svegliandola”… come troviamo nel nostro Giuramento, l’iniziato deve educare l’anima stessa alle realizzazioni sottili che, tramite la sensorietà, portano alla ri-velazione di quelle forze squisitamente animiche che possono esplodere e manifestarsi solo attraverso l’educazione dell’anima senziente.
Inoltre i tre personaggi che ritroviamo hanno peculiarità diverse e vogliono indicare sicuramente tre archetipi di Uomo. Lo stesso A. H. Bâ ricorda come tutti i personaggi del racconto abbiano corrispondenza in noi stesi e in particolare: “addestrarsi in un racconto, è un po’ come penetrare noi stessi. Un racconto è uno specchio dove ciascuno può scoprire la propria immagine”. Ecco quindi la “pedagogia esoterica” del racconto iniziatico… ecco l’immiarsi e l’intuirsi dantesco che ritorna sempre nella Tradizione… ecco il concetto di specchio, simbolo basilare delle discipline iniziatiche… noi dobbiamo saperci specchiare in noi stessi ritrovando l’Io e solo una volta che la Vera Iniziazione sarà raggiunta si potrà rompere quello specchio (come fece Alice) e passare aldilà.
Ritornando al racconto, soltanto dopo aver compiuto questo primo passo verso un nuovo stato di coscienza, l’incantesimo si rompe e i tre compagni si trovano in triangolo come le tre pietre del focolare. Il focolare ha anch’esso un valore iniziatico: la cucina africana, come già accennato, è essa stessa un’attività iniziatica, relativa alla “cottura del sapere. La stessa cucina domestica ricorda l’utero materno che in Africa è chiamato “il focolare dove cuoce il bambino” o “il laboratorio di Dio” e collegandoci alla tradizione iniziatica occidentale, l’Atanor degli alchimisti.
Le tre pietre che compongono il focolare sono unite dalla pentola come il padre, la madre e il figlio nella famiglia e in ultimo le tre braccia che uniscono le tre pietre del focolare sono “la scorza, il frutto e il seme della Verità”. Ricordiamoci chi osserva il focolare: tre uomini, uniti dall’esperienza del viaggio (viaggio che come vedremo implica finalità diverse per ciascuno) posti a triangolo. Il riferimento alla nostra Tradizione è così forte in questo momento: non si può non fare riferimento alle tre luci di loggia in un determinato momento specifico. Questo momento è l’accensione dei tre lumi, ovvero una delle triangolazioni più forti che avvengono in Tempio… un rito oserei dire magico, che si attiva attraverso lo spostamento del lume centrale grazie a cui si passa da una linea retta ad un triangolo dove le tre virtù – Sapienza, Forza e Bellezza – illuminano i Lavori nel Tempio.
Non tralasciamo neppure la simbologia del numero 3: infatti, senza addentrarci approfonditamente sulla valenza di questo numero nei suoi diversi aspetti che potrebbe risultare approssimativa e banalizzante, ricordiamo come i tre viandanti, le tre strade, i tre giorni, le tre pietre del sacrificio e i diversi elementi che troveremo combinati nel numero di tre sono fondamentali alla narrazione e al viaggio iniziatico. Nella tradizione fulbe infatti si dice che il tre è “il prodotto dell’incesto di lui e della sua carne” perché l’unità è ermafrodita e copula con se stessa per riprodursi. Trovo questa affermazione straordinaria: con queste poche parole possiamo infatti sintetizzare il senso del concetto di iniziazione che spesso ritroviamo nei nostri lavori. Ecco quindi un riferimento alla famosa illustrazione di Basilio Valentino in cui vediamo l’iniziato raffigurato con una testa maschile e una femminile dominare sull’Uroboros all’interno di un uovo. Noi denominiamo ciò come l’Androgino alchemico simbolo dell’unità che nasce dal superamento del dualismo, della realtà duale, per spezzare la ciclicità delle morti e rinascite. Per fare ciò anche l’iniziato deve trascendere le categorie del femminile e del maschile e farle proprie entrambe, andando oltre alla sessualità strictu sensu, dominando la passione e equilibrando gli aspetti divini del mascolino e del femminino.

A questo punto ecco irrompere nel nostro racconto un quarto elemento di grande importanza: una voce-guida che irrompe dallo spazio remoto, che come un Virgilio e una Beatrice guiderà i tre compagni attraverso il viaggio verso Kaydara. La voce-guida è un’emanazione di Kaydara che parla attraverso i quattro elementi: ecco allora che la voce sprona Hammadi e i suoi compagni al fine di proseguire il loro il loro cammino nel bosco sacro (Selva oscura) e chiedendo di offrire in olocausto la prima preda che incontreranno. I nostri protagonisti seguono l’indicazione e uccidono un formichiere e lo bruciano in sacrificio come indicato.
In questo momento ci si imbatte nel primo di una serie di animali, ognuno dei quali svolge un ruolo di prim’ordine all’interno della saga: il formichiere in particolare è carico di potenze occulte in quanto è l’animale che si ciba di “mondi”. Infatti i formicai sono espressione di una società entomatica perfetta e costituiscono un vero e proprio mondo, non solo dal punto di vista estetico (le grandi costruzioni delle temiti o e le città-gallerie delle formiche) ma anche dal punto di vista sociale. Ogni formica infatti ricopre un preciso ruolo e non può contravvenire ad esso, grazie alla coscienza di gruppo (ricordo a proposito la Tavola illuminante del F. Enzo), se non mettendo a rischio l’intero equilibrio della sua specie. Ecco allora che in sacrificio è offerto un “divoratore di mondi”. Questo dovrà essere consumato dal fuoco che grazie alla sua potenza lo farà ascendere ai cieli.
Prima di poter iniziare il viaggio vero e proprio, i tre viaggiatori sono chiamati dalla voce affinché purifichino il luogo del sacrificio attraverso la dispersione delle ceneri restanti sulla terra. Non considerando la modalità in cui ciò viene compiuto, questo altro rituale mi permette di fare un’analogia con un parte dei nostri Lavori. Prima di abbandonare il Tempio, a Lavori compiuti, non facciamo forse un giro attorno al quadrilungo, veloce per “disperdere le energie”? Tale fase del Lavoro muratorio, sulla quale spesso mi è capitato di soffermarmi, non è forse una purificazione del nostro luogo sacro, una volta che abbiamo compiuto il Rito nel Tempio (e soprattutto nel Nostro Tempio)? Ecco quindi come una tradizione a noi lontana ci viene in soccorso per penetrare un elemento della nostra ritualità, andando oltre alle considerazione accademiche o letterarie che spesso ritroviamo.
Compiuto ciò ad Hammadi e ai suoi compagni viene consigliato di calzare dei sandali e munirsi di un bastone per intraprendere il viaggio. Le calzature e il bastone sono elementi fondamentali per il viaggio (pensiamo all’iconografia occidentale e in particolare vi rimando all’interessante tavola del F. Alberto sull’arcano 0 dei tarocchi “Il Matto”). In particolare il bastone rappresenta la saggezza dei Maestri e solo chi comprende vi si appoggia. Ricordiamoci anche – potrebbe sembrare una banalità ma è necessario riprendere anche questo concetto – che il Maestro delle Cerimonie nel Tempio è munito di un bastone – a volte è una semplice riga ma dovrebbe essere un bastone vero e proprio – che mai abbandona nel compiere tutte le deambulazioni nel tempio. Il Maestro delle Cerimonie rimanda sicuramente alla tradizione del Compagnonaggio per cui i viaggi per apprendere l’Arte si sono trasformati nella simbologia muratoria in deambulazioni simboliche all’interno del Tempio.
Interessante notare che la scena della purificazione e della preparazione al viaggio avviene davanti ad una pietra triangolare che misura “nove cubiti di circonferenza e tre di lato” e una faccia della pietra è bianca e l’altra nera. Una volta terminata la preparazione magicamente la pietra che prima mostrava la sua faccia nera, ruota su stessa e mostra la faccia bianca.
Qui il riferimento nella nostra tradizione è diretto: il pavimento a scacchi, ma soprattutto soffermiamoci sul ribaltamento della pietra triangolare. Qui io vedo il primo ribaltamento del compasso sulla squadra quando si innalzano i Lavori dal grado di Apprendista a quello di Compagno d’Arte. Non credo che questo riferimento possa essere azzardato poiché gli strumenti muratori sono posti a triangolo e nell’epopea fulbe i tre avventurieri passano da uno stato di coscienza ad un altro dopo aver compiuto il Rito dopodiché si accingono ad intraprendere il vero viaggio iniziatico. Il Compagnonaggio abbiamo detto è proprio il grado che celebra il tema del viaggio-apprendimento, ecco perché questa analogia non mi pare troppo azzardata.
Inoltre la faccia nera rappresenta l’esotericità e quella bianca l’essotericità: ecco allora che ribaltandosi la pietra si ri-vela mostrando il suo lato essoterico; starà quindi ai viaggiatori svelare i simboli del loro viaggio.
I nove cubiti corrispondono alle nove aperture del corpo umano che rientrano nel campo della scienza essoterica (legati quindi alla sensorietà) mentre le undici aperture della madre si riferiscono alla scienza esoterica. La pietra triangolare ricorda la triade fulbe base i tre “paesi” accennati in precedenza che però ora vedremo meglio:
1. Il paese della luce dove vivono tutti gli esseri visibili, uomini animali e piante;
2. Il paese della penombra dove si trovano i seudibé gli esseri nascosti e invisibili ma soggetti a incarnazione: fra questi ci sono i nani, spiriti pigmei, che circondano Kaydara in qualità di suoi servitori e hanno l’aspetto di piccoli vecchi dalla lunga barba. Non sono alti più di tre cubiti ma possiedono una forza straordinaria ; sono poliformi e portano il nome di yaamanajuuju;
3. Il paese dei morti che si trova nella tenebra profonda. Lo abitano tutte le anime, quelle degli uomini come quelle degli animali e delle piante ; tutto ciò che vive ha un'anima e per tale ragione un iniziato non taglierà inutilmente un albero né coglierà un frutto verde perché in tal modo rischia di “far abortire la moglie”.

Le due facce della pietra rappresentano quindi i paesi della luce e dell’oscurità e lo spessore della stessa, il paese della penombra.
Nell'iniziazione il discepolo demanda: “come posso fare per passare dal buio alla luce senza rivoltare la pietra?” il maestro risponde: “ti devi trasformare in olio di rospo”, perche l'olio di rospo penetra la pietra. Ugualmente l'uomo non ha bisogno di spostare le cose per penetrarle, con la finezza del suo spirito, nella loro profondità. La pietra e simbolo del mondo, simbolo delle due scienze, porta della Via perché rappresenta il limite fra il paese dei vivi e quello dei nani di Kaydara. Infine è la prima forza della cosmogonia fulbe, dalla quale si formano le altre dieci, che insieme ad essa costituiscono le undici forze fondamentali.

Una volta che la pietra si ribalta appare una scala di nove gradini che conduce alla viscere della Terra, dove tre buoi da carico con acqua e viveri li aspettano. Recentemente abbiamo avuto il piacere di apprendere l’importanza del numero 9 grazie alla tavola del F. Fabio sui Nodi d’Amore e, senza quindi volere ripetere la sua articolata esplicazione, ricordo solo come questo numero sia simbolo della sacralità divina che possiede una grande valenza iniziatica. La scala la troviamo in diverse tradizioni, può essere ascendente (come quella di cinque gradini del grado di Maestro) o discendente. In questo caso la discesa è nelle viscere della terra (altro riferimento al V.I.T.R.I.O.L.) per poter giungere alla conoscenza iniziatica. In questo caso è simbolo della progressione verso la scienza, se sale verso il cielo si tratta della conoscenza palese, se scende sotto terra, si tratta della conoscenza occulta.
I nove gradini: nell'esoterismo islamico scendere nove gra­dini significa dominare i nove sensi. Nell'esoterismo fulbe, non si riscontra altro significato che quello riferito alle nove aperture del corpo. A. H. Bâ fa notare altrove che esse sono in relazione con le nove ossa del teschio, simbolo delle nove vie dell’iniziazione. Ciascuna delle sette aperture contenute nella testa è "la porta d'entrata di una condizione dell'es­sere, o del mondo, custodito da una divinità. Ciascuna porta da accesso ad una nuova porta interiore, e così all'infinito”.

La voce ordina di condurre le bestie al Paese dei Nani e anticipa che lungo il cammino i tre viandanti ne troveranno altre messe a disposizione da colui che è “il pozzo di scienza e la montagna di saggezza”. Davanti a tale affermazione Hamtoudo chiede chi è costui e chi è che parla, ma la voce-guida avverte che ciò si saprà solo quando egli “saprà di non sapere e aspetterà di sapere”. Ecco un monito tipico delle tradizioni iniziatiche: la saggezza e la conoscenza non sono un qualcosa che si ottiene facilmente. In particolare la voce dice ad Hamtoudo: “Tu lo saprai quando saprai che non sai”: massima capitale per l'iniziato neofita. Nell'iniziazione, si ascolta più che domandare; si aspetta che il Maestro abbia finito quel che ha da dire e un giorno, quando lo riterrà opportuno darà la spiegazione di quello che non è chiaro. Il Maestro mette alla prova la pazienza del suo disce­polo, e non certo per soffocare la sua vivacità intellettua­le, perché è tipico del Maestro sollecitare domande e promuovere una discussione; il discepolo dal canto suo si deve abituare a non interrompere, a “sentire” quali domande può fare e quali deve evitare. Questa pazienza nella conoscenza è una conditio sine qua non, è una vera e propria educazione mentale, una prova per il Maestro della maturità del suo allievo. Così saprà di poter confida­re dei segreti all'iniziato, perché questo avrà la discrezio­ne necessaria a non divulgarli. Il Lavoro è lento e faticoso, solo grazie ad una seria applicazione dei principi massoniche dello Studio l’Apprendista può proseguire lungo la strada dell’iniziazione, il Maestro dovrà essere il suo bastone. L’Apprendista deve praticare il “silenzio interiore” e ascoltare le parole del Maestro. Solo quando avrà interiorizzato il suo apprendistato potrà porre domande e intervenire per illuminare con la sua Scienza il Maestro stesso. Tutto questo “secreto” di conoscenza e coscienza non potrà essere divulgato ad alcuno: al termine di ogni lavoro infatti, si giura di non palesare i segreti dei nostri lavori che ricordiamo non essere qualcosa di misterioso o truffaldino, bensì un precipitato dei nostri Lavori interiori che avvengono sul piano sottile e quindi impossibili da rendere o riprodurre attraverso la parola.
Inoltre il monito della voce guida sembra anche ricordarci una formula del gabinetto di riflessione posta sulla parete Ovest (elemento aria, simbolo astrologico bilancia): “se la curiosità ti ha condotto qui, esci”; l’uscita, la vera uscita, dal Gabinetto si trova in “avanti” sulla strada iniziatica (verso il Tempio), l’altra uscita avviene attraverso la porta di entrata ed è una sconfitta, una rinuncia al cammino verso la luce.

Ho detto.